QUALE CLASSE RIVOLUZIONARIA ?
8 settembre 2011
MA DOV’E’ LA CLASSE RIVOLUZIONARIA ?
Compagni, scusate – sono un pensionato da novecento euro al mese, proprietario dell’unica, modesta casa dove abito in campagna – posso dire “compagni” ? Lo so, a tanti non è dato nemmeno questo, non mi lamento della mia condizione, perché l’ho scelta. Esodo da qualsiasi carriera e dalla città – rimanendo uomo di lettere, perché è difficile cambiare davvero vita (a 65 anni col diabete). A quelli che sono rimasti in città – senza voce, senza ruolo, senza comunità (e sono milioni) dico “compagni”, perché a tutti la storia ha riservato un’analoga sorte di esilio. Cos’altro possiamo (dobbiamo) manifestare se non la nostra impotenza ? Quali altre manifestazioni, indignazioni, occupazioni, irruzioni sono più autentiche e politicamente più incisive ? Si dice Sbilanciamoci, si dice uniticontrolacrisi, si dice rete@sinistra, viola o arancione: uno dei problemi per la costruzione dei beni comuni è proprio la frammentazione, l’autoreferenzialità di gruppi sempre più “individui”. L’esilio è comune ai singoli, ma questi non formano una classe – nonostante i bei trattati di Negri a Agamben – se non nell’effimera gioia dei cortei.
Compagni, avevo studiato e mi era parso di capire che i rapporti di produzione cambiano quando sorgono nuove forze produttive, gestite da una nuova classe protagonista. Ora, o pensiamo che (già negli ultimi tre decenni) una nuova forza produttiva c’è, e si chiama finanza internazionale, che produce denaro per 10 volte la ricchezza mondiale (sempre misurata in Pil). Oppure pensiamo che no, questa finanza padrona degli stati è solo una malattia del capitalismo, che si deve curare – non con manovre depressive, ma con misure per un’ulteriore “crescita” del capitalismo, proporzionata all’occupazione, cioè al lavoro. Ed ecco tutte le ricette keynesiane da sinistra, che talvolta giungono a denunciare le manovre della Bce – le quali appaiono, paradossalmente, esse sì orientate a una “decrescita” ! In tutta questa entropia, se non vogliamo credere alla finanza come classe rivoluzionaria, ciò che è invisibile è proprio un’altra classe, che incarni un nuovo modo di produzione. Forse c’è, Guido Viale non si stanca di evocare sinergie e sperimentazioni orizzontali, ma è una classe che non si smarca dal mercato, non si staglia come alternativa – nei beni prodotti, nel modo di produrli, nel modo di venderli. Dovremmo scovarla, imputarla alla trasformazione, trasmettere esempi ecologici, oltre ad essere creativi nel web. Dovrà cambiare il vocabolario, e quindi il pensiero: nell’immaginario anche dei più indignati di noi è assente l’inoperosità, l’ozio in comune, la poesia – cioè la costituzione dell’uomo, diceva José Martí.
No comments yet