OCCUPIAMOCI MEGLIO DI NOI
16 ottobre 2011
OCCUPIAMOCI DI NOI
Non so se dire “purtroppo” non c’ero: lo sbandamento e la frustrazione delle centinaia di migliaia di “pacifici” porta a non rimpiangere di non esserci stato. Certo qualcosa di forte avrei vissuto di persona, ma l’interpretazione dell’insieme ? Ho visto tutti i filmati disponibili, che non sono la realtà, ma la rappresentazione dominante della realtà, quella mediatica politica, incentrata sugli episodi di violenza. Prima che interrogarsi sulla loro origine, diciamo che la loro sovraesposizione mediatica è un segno preciso della direzione in cui va il “sistema Italia”. Il Manifesto è una lodevole eccezione, Parlato ne accenna appena: “inevitabile” che accadessero (con il livello di disoccupazione galoppante), aggiungendo “è un bene, è istruttivo” che siano avvenuti. D’accordo. Ma quanti decenni di (auto)istruzione ci vogliono perché un movimento cresca abbastanza da creare gli strumenti immunitari necessari al suo consolidamento propositivo ? Qualcuno su facebook ha evocato l’efficienza dei vecchi servizi d’ordine del PC: ma non era solo quello, era un intero sistema simbolico, un ordine razionale che oggi non si danno – gli Indignati devono ricostruirsene uno. Ma non è possibile elaborare l’indignazione in proposte politiche nel corso d’un corteo – che, nel caso specifico, mi è parso ricco nel numero e nel “potenziale” ma sguarnito, torrenziale, povero di teatralizzazione. Non vorrei essere ingeneroso, ma Berlino, Londra, Bruxelles, e soprattutto la lunga esperienza di Puerta del sol e l’ultima arrivata, quella di Zuccotti Park (Occupy Wall Street), hanno mostrato una maturità organizzativa, gestionale, politica tuttora impraticate in Italia. In un semplice corteo non si decolonizzano vent’anni d’immaginario berlusconiano. Le due cose importanti che Naomi Klein ha detto al Parco: che il movimento per crescere deve mettere radici in un luogo e che decisivo è “come ci si tratta l’un l’altro”. Ecco, qui in Italia ci insultiamo, e a volte magari non vediamo l’ora di fare la manifestazione per tornarcene ai nostri ‘affari’…per cui non possiamo occupare, cioè abitare insieme un luogo, come al Cairo, come a Madrid, per riflettere, elaborare, produrre modelli cooperativi. Vorrei essere subito smentito (per esempio c’è il Teatro Valle occupato), e mi spiego: non è che manchi la generosità e l’entusiasmo, mancano la pazienza, la resistenza, il coordinamento, la radicalità. Sono vizi antichi del movimento italiano, e senza un’autoeducazione implacabile e condivisa non si potrà costruire il primo dei beni comuni, la fiducia nella forza politica collettiva.
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