L’INFINITO DI LEOPARDI
Questa è la voce del pensiero, del pensare. E’ una voce muta e ammutolita dall’evento che essa evoca: la fine del pensiero. La “dolcezza” del “naufragio” nel mare dell’immaginazione, del Reale Immanifesto che si proietta nella mente, nel cuore manifesto del Poeta, la cui voce si confonde col vento e la Presente stagione – ne fa una delle poesie paradigmatiche della lingua italiana. L’unica (sorgiva negli appunti del Poeta, che aggiunse solo l’ultimo verso) la cui semplicità dice la cosa stessa, senz’ombra alcuna, senza ‘malinconia’ – che anzi afferma la gioia di tale naufragio. Advaita Vedanta, non-dualista, realizza qui, caso eccezionale, Leopardi. Impossibile Voce dell’Impossibile, dunque.
L’infinito di Leopardi rimane un indicibile, perché è la voce del pensare, che si estingue. La voce del pensare all’immaginare: le immagini sono indirette, sono metaimmagini, anche il “vento odo stormir tra queste piante” non è un vento fisico, anche se è Presente, come la “stagione viva” e “il suon di lei”. Sono Immagini Pensate, dal Pensare, che è un oltrepassare il confine – il confine “caro” perché provoca il pensare l’oltre il confine, provoca cioè l’IMMAGINARE. Ma, ecco il truc leopardiano. Di là dal confine, che cosa immagina il suo pensare ? Non campi fioriti, non paradisi – ma lo SPAZIO Assoluto, il SILENZIO, la Quiete del VUOTO – anche se non il Nulla, un Immobile SOVRUMANO, l’ETERNITA’ oltre il Tempo. Brahman. Ma un Brahman ‘materialistico’, senza connotazioni spirituali, né creative o emanative, e nemmeno attrattive per un ego particolare a ricongiungervisi. Un ego pensa questo Sovrumano, questo UberMensch come una condizione di Suprema Quiete, inattingibile (in vita e anche in morte). Ma perciò egli può pensare tale condizione, però non può dirla. Perché il dicibile si ha solo nella comunicazione umana. Perciò di quella condizione incomunicabile il “cuore quasi si spaura”.
Dunque in che cosa esattamente “s’annega” il pensiero, e perché questo naufragio è “dolce” ? Dalla sequenza, in effetti, non sembra che il pensiero s’anneghi nell’Eternità sovrumana, ma in una “immensità” – costituita dallo spazio stesso dell’umano Immaginare, che risale e torna dal presente fisico (immaginato) alle morte stagioni e all’eterno. Questo umano immaginare è il vero INFINITO (una prima versione aveva “infinità” al posto di “immensità”). Il pensare annega nell’infinito dell’immaginazione. Ma allora la dolcezza del naufragio non sta nell’annullamento dell’io o della sua attività mentale, non è un cupio dissolvi – e ricordiamo che “annegare” e “naufragio” sono immagini, metafore di un venir sommersi. Al contrario, verificandosi l’impotenza del pensiero a pensare veramente e definire un Al di là e un’Eternità, succede che a vivere è ora solo l’infinito Spazio dell’Immaginare – dall’Immaginare l’ego è vinto e sommerso, dalla infinita libertà creativa dell’immaginazione (“che non vi sto nemmeno a dire” sembra concludere implicitamente Leopardi). L’entrare in questa libera immaginazione allora è la fonte del piacere, l’unica dolcezza concessa all’umano. E ancor meno dicibile dell’eternità (che almeno era pensabile) è questa dolcezza, questo rasa o sapore – che solo chiede al lettore altrettanta immaginazione, nel vedere l’invisibile, e quindi la dolcezza nel suo sprofondarvi.
Ubi major, minor non cessat: è appena uscito il cofanetto di Carmelo Bene che legge i Canti di Leopardi, ma ciò non esime dal tentare di dar voce a questo Impossibile. Tanto più se dove abito c’è un colle che fa da siepe a un al di là, che sempre mi ricorda l'”idillio” di Leopardi. Anche se il ‘mio’ immaginare non porta al piacere del Silenzio e della Quiete, ma piuttosto alla gioia di un pieno esplosivo.
Che devo dirti Nicola? Per colpa di questa poesia, bellissima senz’altro, mi rimandarono ad ottobre in Italiano. Ma il prof. era uno stronzo e tutti lo sapevano. Avevo la media del 6 ed ormai ero certo della promiazione. Ma quel cretino, l’ultimo giorno di scuola mi interrogò proprio su questa poesia. Non sui contenuti ma solo per ripeterla a mo’ di pappagallo a memoria. Ed io, sicuro della mia sufficienza e certo che avrebbe interrogato qualcun altro più bisognoso di me di salvarsi, non l’avevo proprio neppure letta. Quindi mi lega a questa poesia un ricordo di amore-odio! Comunque, bravo come sempre nell’interpretazione.
XII – L’INFINITO
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo; ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.