Una piccola grande sintesi
14 marzo 2010
Una piccola grande sintesi
Lo scopo della vita umana.
Intanto la Natura. Dall’ameba alle galassie, la Natura è Energia in varie forme, vibrazioni e ritmi. Secondo lo schema indiano, ci sarebbero 3 elementi (gunas): l’elemento sattvico (bianco), il rajasico (rosso) e il tamasico (nero) – con le inerenti qualità di: vibrazione altissima e pura, vibrazione espansiva ‘aggressiva’, e inerzia (bassa frequenza). Ciascun elemento tende a rimanere tale, pur interagendo con gli altri, confliggendo e formando insiemi, campi, etc. – cioè un Ordine, instabile ma estremamente potente.
C’è un’analogia con le caste: i brahmini hanno preteso di ‘isolarsi’ per unirsi all’elemento sattvico universale, senza curarsi degli altri due. La cosa ha funzionato fino a un certo punto, ma già al tempo del Buddha provocava troppo dolore nelle e fra le altre due caste. Ecco allora la rivoluzione trans-classista del Buddha. Tutti devono potersi liberare dal dolore. Questa redenzione vuole essere una trasformazione della Natura stessa, un suo ri-equilibrio – per cui nessun elemento, nessuna specie e nessun singolo eccede o manca.
Ma certo uno degli scopi della Natura è la moltiplicazione della Vita. Addensarsi, differenziarsi, evolvere, scoprendo nuove forme di energia e simbiosi. La gioia della manifestazione, dello sboccio o dell’ ‘esplosione’ – in cui il singolo è sacrificato per l’insieme – è certamente il momento magico della Natura per affermare le sue proposte di vita.
L’uomo è una creatura della Natura, che si serve di lui per fare tutto questo. L’uomo è un’ opus, un’arte della natura. Come tutte le creature – che possono, singolarmente e come specie, eccedere o mancare in autoaffermazione – l’uomo non sa qual è il suo fine. Ma diversamente dalle altre creature, che tengono ben in conto tutte le altre, l’uomo ha dal Sapiens in poi trattato tutte le altre come mero materiale per il suo (umano) accrescimento. Anzi, ben presto il mezzo è divenuto il fine, l’accrescimento della Tecnica in quanto tale (Severino), a costo di sacrificarsi e perire in massa a questo fine. Dunque per la sua Volontà di Potenza. Non sappiamo se la Natura ha ‘sbagliato’ (come in tante mitologie si racconta) investendo tanta energia per giungere all’Uomo, non sappiamo ‘cos’ha in mente dopo l’uomo’. Mentre appare che l’uomo sta distruggendo tanta differenziazione biologica e gran parte dell’umanità stessa, potrebbe darsi che la Rete Virtuale da lui costruita servirà alla Natura per fare qualche altra cosa, comunicare con altre Entità, etc.
In ogni caso, il dolore umano e bio-ecologico, dai tempi di Buddha, è nel frattempo incalcolabilmente aumentato. L’intervento del Cristo – mentre la fede nella sua origine unica e divina è cresciuta a dismisura in Occidente – non ha fatto che dividere e creare più conflitti nel mondo. Ciò non è dovuto soltanto al potere temporale della Chiesa, ma alla struttura avvincente della performance cristica: taumaturgica, sacrificale (sanguinosa), politica. La sua Verità LETTERALE appare patriarcale, individualistica e tragica: il Regno, la Gloria, la felicità non appartengono alla storia, che ha e avrà una fine infausta per quasi tutti – ma appartiene ai pochi col Padre nel mondo dei Cieli.
Ecco allora un’altra chance, partita dalla Società Teosofica alla fine del XIX secolo (pasticcio fra Scienza e antica sapienza brahminica), apparentemente incarnata in Krishnamurti.
La rivoluzione krishnamurtiana appare un unicum, diversa anche da una sintesi fra buddhismo e libertà ‘performativa’ occidentale. Il prescindere da qualsiasi tipo di Autorità (sapienziale, scientifica, culturale, politica) e di conseguente Giudizio, condanna-castigo o premio, è per lui una assoluta precondizione per intuire l’universale Verità della Vita, e quindi poter percepire il fine dell’Uomo. Egli si presenta con l’impegno più radicale a trasmettere questo valore soltanto: l’Eternità della Vita in ogni cosa e in ognuno. Invita così a trovarlo singolarmente, con uno sforzo costante e quasi ‘disumano’ – senza il quale la liberazione è impossibile. Si tratta di nuovo, come per il Buddha, di abbandonare qualsiasi paura e desiderio dell’ego, intuendo che non c’è salvezza se non nell’Inter-Essere universale. Che non è mai qualcosa di dato una volta per tutte, ma sempre da riattingere. Egli offre un metodo, che non è di fede né di ragione – si potrebbe definire di consapevolezza (affine forse solo allo stoicismo): l’attenzione costante a “non accettare né rifiutare”, una forma di amore-autodisciplina, attraverso cui soltanto è possibile per ogni uomo scavare dentro i suoi conflitti. In questo scavo appassionato ma senza fanatismo – non in vista dell’autocoscienza personale ma semmai di una coscienza e collaborazione universale – avviene (neurofisiologicamente) una sospensione, un’epoché del conflitto stesso, che permette di aprirsi all’intuizione assoluta: il superamento del desiderio personale e l’estasi nell’unicità della Vita.
Raimon Panikkar (padre indiano buddhista, madre catalana cattolica), laureato in chimica, filosofia e teologia (Pontificia Lateranense), dopo aver insegnato a Benares, Harvard, Santa Barbara e in Europa, ha celebrato novant’anni di Mistica pienezza di vita (suo ultimo libro) nel 2008 a Venezia (ed è morto nel 2010). La sua “nuova innocenza” è libera da qualsiasi credo teologico o morale – quindi anche dalla cattedrale del premio o castigo di Dante (“no me mueve, mi Dios, para quererte / el ciel que me tienes prometido”, “non attrarmi, mio Dio, per chiederti il cielo che mi hai promesso”, Panikkar cita volentieri questi versi spagnoli anonimi, forse di Santa Teresa) – ma come in Dante, è il rinascere dopo una catarsi. “La nuova innocenza non è una seconda innocenza, non è una ripetizione della prima, non è l’innocenza perduta recuperata, quella perduta è proprio perduta. E’ nuova, così nuova che non si ricorda d’essere seconda, perché non lo è. La nuova innocenza non è l’aver trovato il paradiso perduto. Viene dopo quello che ho chiamato primo punto, dopo l’ascesi, la purificazione. L’innocenza perduta va ritrovata nelle modalità dell’incanto, attraverso l’esperienza del bello, della poesia, della musica, della preghiera”. Per una innocenza davvero rivoluzionaria, è necessario un reincanto del cuore, e quindi del mondo.
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