LEOPARDI: CANTO NOTTURNO
Due sono le voci principali di questa ‘ballata’, essenzialmente amara. Una è appunto la voce del pensiero ‘stoico’ antico, o meglio del pessimismo radicale del Poeta. L’altra è la voce di una ‘nuova innocenza’ (direbbe Raymundo Panikkar), una semplicità e immediatezza da brivido, in quelle esclamazioni e interrogazioni alla luna, al gregge, al cosmo, a se stesso — che costituiscono la meditazione più alta e ‘purificante’ cui giunge il Leopardi — mantenendo la promessa di una fraternità con gli esseri della natura.
Due ritmi dunque: quello aspro della vana corsa e circolazione dei viventi senza riscatto. L’altro, quello lento e tenero delle domande agli ‘eterni’ (la luna, ma forse anche la greggia, certo le stelle), in un tentativo di dialogo che si rivela ogni volta impossibile. La dialettica fra le due voci tiene alta la tensione musicale del canto, assai difficile da trasformare in un’unica voce.