LA BELLEZZA DI FRANCA RAME
LA BELLEZZA (di) FRANCA
di Nicola Licciardello
Mi spiace non essere stato a Milano, al commiato di Franca Rame e al rovesciamento della Bibbia in teatro comunista di Dario e Jacopo Fo, accanto alla bara di Franca Rame. Un evento storico come pochi, un attimo che congiunge i tempi, che illumina quasi mezzo secolo di cultura italiana, facendolo ancora sussultare. Esserci, vedere quali vecchi e quali giovani erano presenti, celebrando non una vittima della mafia, ma una donna che, pure offesa dalla violenza, è rimasta vincente. Voglio notare che in mezzo alle giuste proteste per le parole del tg2, quasi tutti i ricordi partono col parlare della sua “bellezza” – “bellissima”, “incredibile bellezza”, etc. Come fosse una qualità in sé, un requisito oggettivo e assoluto. Ma la bellezza è qualcosa che si porta, che s’indossa in pubblico, che vive solo in quanto lo spirito di una persona la muove, usando mente e corpo per dialogare coi suoi simili. La bellezza di Franca è stata allora una “maschera nuda”, una vita in gioco vero, quello della vita e del teatro, che nei più consapevoli di allora si identificavano. Giustamente Manzella oggi su “Alias” ricorda anche il Living Theatre e Carmelo Bene. La bellezza di Franca era la sua indomita energia, la sua voce rauca, la nausea per la bellezza patinata da soubrette o da signora per bene che avrebbe potuto rappresentare, che traspariva in ogni smorfia delle sue performances – il tragicomico, epico distacco da quel tipo di personaggi, il suo essere sempre al di là, in una lotta di verità.
I tempi sono cambiati, ma invece di rimpiangerli per le grandi possibilità che c’erano, ci serve molto più una nostalgia del futuro.