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POLITICA DELLA BELLEZZA IN-COMUNE

14 ottobre 2012

PER-VISIONE DI UN FUTURO

di Nicola Licciardello

 Per-visione, pre-visione, immagin-azione, comun(ic)azione.Non utopia ma fantascienza, una buona fantascienza soltanto ci può salvare. Salvare chi da cosa ?

Salvare la memoria delle origini: terra, acqua, fuoco, aria – energia-in-comune.

Salvare la memoria dell’evoluzione del rapporto fra uomo, cioè tecnica, e natura.

Salvare la memoria delle origini – mentre la tecnica porta l’uomo FUORI dalla Terra, nello spazio, e quindi lo trans-forma.

 Ed è proprio dallo Spazio che occorre contemplare ora quella memoria, tutta intera, la Terra abitata dall’uomo, interpretandone e consegnandone sì una ‘copia’ alla Terra, ma portando l’altra in viaggio nello spazio. Un’antropologia-scienza naturale globale (non definitiva).

Siamo in un nuovo salto di civiltà, molto più radicale di quello compiutosi con le circumnavigazioni e “conquiste” del globo cinque secoli fa.

 Sulla Terra stessa si vive sempre più fuori da essa, nel mondo virtuale e realissimo dell’ informazione, la quale tende all’entropia, a uno stato stazionario e uniforme, di “morte termica”. Proprio in quanto la memoria delle origini con le sue varianti sta scomparendo all’interno di paradigmi globali – ma basati sull’istantaneo, pulviscolare, automatico calcolo di differenziali finanziari: virtuali rispetto alla vita degli stessi operatori umani, i quali non hanno potenza di controllo sugli algoritmi e sulle scelte.

E siamo nel tempo dei Grandi Numeri. Il ‘successo’ di un’informazione, che costituisce la sua verità, è il numero di adesioni o ‘iscrizioni’ immediate degli spettatori di un momento. Lo spazio per le minoranze è ‘stocastico’. Le grandi decisioni sono frutto di Grandi Numeri, che espugnano non solo le “sovranità” individuali, ma anche le nazionali e le sovranazionali. A governare i Grandi Numeri non basta la tecnica, né la democrazia rappresentativa, perché essi sono un’ iperdemocrazia ‘reale’, ovvero la moltiplicazione delle interazioni in prima istanza simboliche fra tutti i membri dell’umanità. Se in queste interazioni simboliche si perdesse la memoria delle origini, se tutte venissero ridotte all’economia – virtuale che affama quella reale – si cancellerebbe la Storia sulla Terra, e l’uomo dello spazio non avrebbe più un luogo ove ‘tornare’, una narrazione a sostenerlo, un mito a orientarlo. Si perderebbe anche lui, senza MutterdoubleMaschinen a ricordargli chi era.

 Il compito dell’uomo sulla Terra è forse ancora quello della sua nascita: non più solo riproduzione animale – ma mediante il VISO dell’amore, mediante l’esperienza dell’altro-con-me, nel doppio ritmo dell’infinito che porta Vita infinita, estatica gioia – come rispondendo e ringraziando ‘meritarlo’ ancora cantandolo, in arte (tecne) trasfigurandolo. Lasciando tracce, simboli e memorie di un oltre l’abitare, di ciò che non è dell’uomo o della Terra, ma del Cosmo come Creazione.

 L’Arte, la Guerra, la Politica, la Scienza hanno svolto questo lavoro di equilibrio immunitario. Ma da quando tutte si sono asservite alla Tecnica, per il successo immediato, hanno progressivamente abbandonato il loro scopo, producendo nichilismo di massa nell’effimero. L’arte, la parola, le scienze non sono cumulative, ma la tecnica è iper-cumulativa, esponenziale e irreversibile. Dal computer non si torna alla macchina da scrivere. Dalla bomba nucleare non si torna alla catapulta (e ciò impedisce la Guerra Mondiale). Dal trattore non si torna all’aratro tirato da buoi (eppure…). Ogni salto tecnologico conserva in sé la ‘forma’ dei corsi precedenti, ma ne accelera incalcolabilmente il ritmo. Il ritmo della tecnica è oggi spinto a inseguire all’infinito i Grandi Numeri, relegando l’uomo a meno che esecutore, ma al tempo stesso ‘sparandolo’ fuori nello spazio. Può l’astronauta tornare ad abitare la terra ? Può il cybernauta sulla Terra (noi tutti su facebook) (ri)abitarla in modo equilibrato ? Come si è trasformata la nostra mente frequentando la realtà virtuale ? Quali ‘virtù’ o esercizi (askesis, ricorda Sloterdijk[1]) occorrono, in questa trasformazione, per il lavoro necessario ad abitare la terra in modo equilibrato ? Quali forme di associazione, quale polis occorre (ri)creare per tornare ad abitare la terra senza distruggerla – anzi continuare ad abitarla lasciandovi memorie di eterno (d’amore) ?  Queste ci sembrano le domande su cui occorre riflettere quando si pensa di affrontare oggi la questione del Lavoro – prima che il problema di ‘occupare’ la forza-lavoro che non può più continuare a produrre distruzione di beni comuni. Il problema invece del Lavoro come Amore, dell’amore come lavoro necessario.

Possiamo, fuori da facebook, con-muoverci ?  Versando “lacrime e sangue” – non per trasformarli in crediti finanziari che “i mercati” restituiscono in feedback negativo, cioè moltiplicando la distruzione dei beni comuni superstiti. Al di là delle lacrime di rabbia, versiamo ancora lacrime di con-mozione condividendo bellezza ? dal nostro ‘sacrificio’ di con-laborazione, nelle lotte per l’inter-esse comune, alla bellezza stessa delle grandi ‘performances’ naturali (eruzioni, cascate, terre-maremoti). Possiamo ancora con-muoverci tenendoci per mano ?

 Se crediamo che questo ancora avviene o può avvenire, si tratterà innanzitutto d’inventare le forme e i ritmi di ri-conoscimento (ri-conoscenza) e rilancio (ricreazione) della bellezza, quella tuttora palese e quella eclissata. Ritrovandola nella vita fisica e in quella virtuale. Forse, più precisamente, nella virtuosa circolazione fra vita fisica e virtuale, in un continuo scambio e travaso dall’una all’altra, che ne moltiplica gli effetti in modo esponenziale. Rovesciando così il potere dei Grandi Numeri in potenza delle nostre facoltà creative. Questo soltanto forse si può chiamare oggi Rivoluzione. E’ qualcosa che già avviene, che è stato tematizzato da innumerevoli ecologisti, attivisti e movimenti[2] – e di cui gli eredi delle “sinistre”, un tempo (un breve tempo: un secolo e mezzo) rappresentanti delle “classi subalterne”, non possono appropriarsi, proprio perché si tratta di un bene comune. Di un interesse umano generale, che solo in quanto metodo può esser fatto proprio anche da quegli eredi. Non si tratta dunque di formare un “fronte” popolare contro gli sfruttatori, ma di comunicare in ogni occasione la bellezza che non appare, la storia segreta, l’inquadratura che spiazza e trascende, il ritmo che accende e placa, la parola dell’ ‘impossibile’.


[1] Peter Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita, Raffaello Cortina, Milano 2010

[2] Di Marcel Jousse, autore de Le style oral rythmique et mnémotechnique chez les verbo-moteurs (1925), sabato 20 ottobre ore 10,30 il sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria presenterà al Salone dell’Editoria Sociale del Testaccio a Roma Il Contadino come Maestro, assieme al curatore dell’opera Antonello Colimberti.

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