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DUGIN CONTRO LA FINE

16 giugno 2022

La Quarta Teoria Politica. I

di Nicola Licciardello

Italia oggi così ubriaca per il crollo d’affluenze ai referendum, e per il crollo di Lega e 5 stelle alle comunali, da quasi dimenticare la guerra della gloriosa Ukraina, la carestia mondiale dovuta al sanguinario Putin, come pure i balletti di Ursula e il Drago. Mentre il quasi premio Nobel per la Pace Zelensky piange per le armi promesse e non mantenute, o per non saperle usare, i russi sparano su chi non è ancora scappato fuori dai velenosi rifugi del Donbas, tanto che qualcuno di “Storia Segreta” (Sinistra in Rete 14 giugno) si spinge a decretare che La guerra è finita e che la Russia ha vinto. Situazione tuttora virtuale, ma certo probabile e conseguenziale.

E se “Storia Segreta” non esita a indicare in due esponenti della lucidità ebraica, Carlo De Benedetti ed Henry Kissinger, gli autori che per primi hanno definito la presente guerra dell’Occidente contro la Russia un “errore strategico” – in primis per l’ovvia conseguenza di favorire un’alleanza Russia-Cina, poi per l’incompetenza valutaria (il rublo, agganciato all’oro, premiato sul dollaro) infine per l’eccessivo squilibrio geopolitico di un’Europa occidentale succube della Nato – c’è chi aveva previsto alla lettera gli attuali eventi bellici, in effetti da Putin assai posticipati rispetto al 2014: si tratta di Aleksandr Dugin, “tradizionalista” moscovita e grande ammiratore della storia d’Italia, di cui parla anche la lingua.

Nella Prefazione all’edizione italiana (2020) de La Quarta Teoria Politica (forse il suo trattato più organico) Dugin infatti mostra una conoscenza anche della filosofia italiana contemporanea. Di Massimo Cacciari, ad esempio, riferisce su quel problematico ma suggestivo Geofilosofia dell’Europa (1994) che ribadiva il destino di un’Europa Arcipelago[1], mentre di Giorgio Agamben elabora una geniale lettura ‘sincretica’, in cui la “vera natura politica della Modernità è la nuda vita del lager”.

Correttamente adottando la denuncia agambeniana dello “stato di emergenza” quale denominatore comune prima di Fascismo e Comunismo quindi dello stesso Liberalismo attuale –  mostrandone quindi il comune carattere totalitario – Dugin salta poi a una doppia conclusione: da un lato, con la fine della storia di Francis Fukuyama (1992), additando nell’implosione dell’Unione Sovietica non il trionfo del vincitore americano, ma l’inizio del suicidio politico dell’umanità, nella figura della “piccola borghesia universale”.

Ma dall’altro lato, manifestando una radice heideggeriana di Agamben, col designare il qualsiasi di quest’ultimo al posto dei classici ogni e tutti del liberalismo filosofico, Dugin riafferma una potente risposta positiva, perché il qualsiasi corrisponde al latino quodlibet, “il libet che deriva dalla stessa radice della parola russa ljubov’ (amore) e di quella tedesca Liebe[2]. Il totalitarismo liberale, prosegue Dugin, non ha autorità su questo sottile elemento, che non è l’individuo, concetto totalitario come altri concetti politici, ma “qualcosa di mobile, sottile e indefinito, come un’impercettibile incertezza amorosa-volitiva (quasi un’aureola)” onnipresente ma non razionale. Su questo impalpabile dunque arditamente Dugin fonda una “metafisica del populismo”, quale Logos sostitutivo degli ismi dell’ultimo millennio.

E’ però già dalla Postfazione (1914) alla stessa opera, che Dugin illustra le ragioni della Guerra alla Russia nella sua dimensione ideologica[3], cioè per “incastrare Putin e salvare l’ordine liberale”. Qui, prima di partire con le sue puntualissime previsioni, egli elenca le caratteristiche dell’unica (“pensiero unico”) ideologia dominante rimasta, il liberalismo:

° individualismo antropologico: l’individuo è la misura d’ogni cosa;

° fede nel progresso: il passato era peggiore del presente, il futuro sarà migliore;

° tecnocrazia: sviluppo tecnologico e sue concrete declinazioni sono le misure essenziali per        giudicare il valore di una società;

° eurocentrismo: le società euroamericane sono considerate il banco di prova per tutta l’umanità;

° economia come destino: il libero mercato è l’unico sistema economico normativo – tutti gli altri vanno necessariamente riformati o distrutti;

° la democrazia è il governo delle minoranze: che si difendono dalla maggioranza, sempre sul punto di degenerare nel totalitarismo o nel “populismo”;

° la classe media è l’unico attore realmente esistente in campo sociale e l’unica norma universale, al di là del fatto che l’individuo abbia o meno raggiunto tale status;

° globalismo inclusivista: gli esseri umani sono in sostanza tutti uguali, con l’unica distinzione della loro natura individuale – il mondo dovrebbe dunque ruotare intorno ai perni dell’individualismo e del cosmopolitismo, in altre parole sulla “cittadinanza globale”;

Il liberalismo, soggiunge Dugin, può essere di destra, di sinistra o radicale, ma è fondato sul tratto etnico anglosassone, di cui la NATO costituisce il nucleo strategico della sicurezza: la NATO è liberale per natura, difende le società liberali e combatte per estendere il liberalismo ad altre aree d’influenza.

Qui Dugin commenta: ma la libertà liberale è davvero libertà –di ? o piuttosto libertà –da (tutti i dogmatismi religiosi etc) ? Assumendo questa seconda ipotesi negativa, Dugin rileva l’avversione liberale per “qualsiasi forma di identità collettiva, ogni genere di valore, progetto, strategia, obiettivo, metodo che sia collettivista o meramente non-individualista […] in prima battuta il comunismo e il fascismo, entrambi radicati nella stessa filosofia illuminista (da cui è disceso il liberalismo), che implicavano concetti non-individuali, la classe per il marxismo, la razza per il nazional-socialismo, lo stato nazionale per il fascismo.” Il nemico dunque esiste, è sempre in agguato. Tra il 1991 (la “fine della storia”) e il 2014 (Maidan) sembrava non esistessero più o quasi “stati canaglia” (Iran, Corea del nord, Cuba…), ma proprio lì in mezzo, nel 2001 dei nemici interni (presunti islamici esterni) abbattono le Torri Gemelle, da cui seguono le guerre di coalizione occidentale che conosciamo. Il nemico esterno da cui liberarsi è sempre necessario, altrimenti si scopre l’essenza nichilista del liberalismo, nota Dugin, proprio nei “tentativi di purificarsi dagli ultimi elementi non-liberali rimasti: il sessismo, il politicamente scorretto, la disuguaglianza tra i sessi”.

Ma, come quando si dice che a furia di esportare democrazia negli Usa ne è rimasta poca, il problema è che la libertà di fare qualsiasi cosa a livello individuale genera mostri sub-individuali, “la scoperta del fondamento nichilista della natura umana è l’ultima conquista del liberalismo”, significando la scomparsa dell’umano. Meglio il terrorismo, lo scontro di civiltà, l’immigrazione di massa: “Per salvare le élites liberali, esse devono fare un passo indietro, tornare a fronteggiare società non-liberali […], ed è qui che entra in scena la moderna Russia di Putin: non anti-liberale, né totalitaria, né nazionalista e nemmeno comunista, ma al tempo stesso non ancora liberal-democratica, cosmopolita o anticomunista. E’ piuttosto sulla via per diventare liberale, e sta intraprendendo quella trasformazione che questo implica (trasformismo nel senso gramsciano)”.

Comunque, ragiona Dugin, nel quadro del liberalismo rappresentato dagli Usa e dalla NATO, c’è bisogno di un altro attore, di un’altra Russia che giustifichi la permanenza del campo liberale, e contribuisca a mobilitare l’Occidente, che minaccia di frantumarsi per i suoi conflitti interni. Questo è ciò che ritarda l’irruzione del nichilismo, salva il liberalismo dalla sua inevitabile fine. “E’ per questo che hanno bisogno a tutti i costi di Putin, della Russia e della guerra (corsivo nostro) […] L’Islam radicale di Al-Qaeda era un altro candidato a questo ruolo, però mancava della credibilità sufficiente per diventare un vero nemico. Se ne sono serviti su scala locale: occupazione di Afghanistan e Iraq, rovesciamento violento di Gheddafi, guerra civile in Siria, ma era ideologicamente troppo debole e rozzo. La Russia è un nemico molto più serio. La russofobia è facile da coltivare, anche con mezzi rudimentali. Per questo penso che la guerra con la Russia sia una prospettiva concreta”.

Qui Dugin sottolinea alcune facili previsioni: “1. La maggioranza delle nazioni implicate nell’ordine liberale faranno di nuovo fronte comune sotto la bandiera dell’Occidente liberale nella sua crociata contro Putin l’illiberale; 2. Una guerra contro la Russia rafforzerebbe la NATO e gli europei tornerebbero leali agli Usa, loro protettori e salvatori; 3. L’Unione Europea, che cade a pezzi, tornerebbe a mobilitare popoli volenterosi di difendere i propri valori; 4. La Giunta ukraina di Kiev ha bisogno di questa guerra per giustificare e seppellire tutte le malversazioni che risalgono alle proteste di Maidan, ratificando la sospensione della democrazia, democrazia che avrebbe impedito loro di governare nei distretti sudorientali prevalentemente filorussi; 5. L’unica nazione che non vuole la guerra ora è la Russia, ma Putin non può lasciare che il governo ukraino, radicalmente anti-russo, governi un paese con una popolazione per metà russa e con molte regioni filorusse. Se lo permettesse, perderebbe ogni credibilità a livello interno e internazionale. Di conseguenza, seppur riluttante, Putin accetta l’eventualità di una guerra. E, una volta intrapreso questo cammino, non ci sarà altra via d’uscita che vincerla, questa guerra” (corsivo nostro).

Dugin evita di parlare espressamente di ukraini neonazisti, ma una nota chiarisce che Euromaidan, dal nome della Maidan Nezaležnosti (Piazza dell’Indipendenza) di Kiev, teatro degli eventi, è il nome con cui sono passati alla storia i moti di piazza che, tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, hanno causato la caduta del governo ukraino di Janukovyč, a vantaggio di un nuovo governo occidentalista e russofobo. Un’altra nota chiarisce chi sono i seguaci del nazionalista (nazista) Stepan Bandera. Con 8 anni di anticipo Dugin prevede come saranno trattati Putin e la Russia: “revanscista neo-sovietico”, e “la Russia diventerà l’oggetto da cui il mondo dev’essere liberato. L’obiettivo è liberare prima l’Ukraina, poi per estensione l’Europa e il resto dell’umanità, che sarà dipinta come in balia della minaccia russa, e si arriverà persino a dire che la Russia stessa ha bisogno di essere salvata dalla sua identità illiberale”.

Contro la sua stessa lucidissima previsione, Dugin propone un Piano Rivoluzionario complessivo: “contrastare tutte le provocazioni volte a incastrare la Russia nella sua fase di potenza pre-liberale. Dobbiamo impedire ai liberali di sottrarsi alla loro fine imminente. Piuttosto che aiutarli a temporeggiare, dobbiamo accelerarne il declino. Per farlo, dobbiamo presentare la Russia come una forza rivoluzionaria post-liberale che combatte per un futuro diverso per tutti i popoli del pianeta. La guerra russa non sarà solo a vantaggio degli interessi nazionali russi, ma sarà per la causa di un mondo multipolare più equo, per la dignità e la vera libertà – quella positiva, creativa (la libertà di-) non quella nichilista (libertà da-). In questa guerra la Russia darà l’esempio come tutrice della Tradizione, dei valori conservatori connaturati ai popoli, e rappresenterà la vera liberazione dalla società aperta e da chi ne beneficia, l’oligarchia finanziaria globale. Questa guerra non è contro l’Ukraina e nemmeno contro una parte della sua popolazione, e nemmeno contro l’Europa. E’ una guerra contro il (dis)ordine del mondo liberale. […] Per coloro che sono nella fazione della verità eterna e della Tradizione, della fede, e della natura umana spirituale ed immortale, questo sarà un nuovo inizio, l’Inizio Assoluto.

La più importante delle battaglie, al momento, è quella per la Quarta Teoria Politica. E’ la nostra arma, con la quale impediremo ai liberali di incasellare Putin e la Russia nei loro piani, e facendolo riaffermeremo lo status della Russia quale prima potenza ideologica post-liberale, in lotta contro il liberalismo nichilista, per il bene di un luminoso futuro, multipolare e veramente libero”.

Non si può non rilevare in queste parole, per quanto preveggenti e ispirate, una forte sottovalutazione della forza di propaganda dell’occidente massmediale.

Per quanto riguarda l’intera articolazione della Quarta Teoria Politica, rimandiamo invece alla prossima puntata su questo schermo.

Nicola Licciardello

15 giugno 2022


[1] A livello filosofico ancora più rilevante è la sua interpretazione del cacciariano Angelo necessario (Adelphi 1986): “Cacciari unisce l’orizzonte del sogno comunista alla natura angelica dell’essere umano, la scoperta della quale è l’ obiettivo stesso della rivoluzione” (corsivo dell’autore in La Quarta Teoria Politica, Aspis, Milano 2020, p. XXX).

[2] Dugin, La Quarta Teoria Politica, cit. pp. XXXI-XXXVIII.

[3] Aleksandr Dugin, La Quarta Teoria Politica, cit. pp. 381-395.

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