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ADDIO A CICCINA CIRCE’-HORCYNUS ORCA

13 novembre 2012

Questo brano conclude la prima parte di Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, un’opera ‘monstruo’ come l’animale cui si riferisce. E’ un’opera che a leggerla tutta, nell’edizione originale (Mondadori 1975, 1257 pagine) lascia come svuotati, incapaci di leggere e scrivere. Questo era il fine dichiarato: 15 anni di lavoro per “far coincidere i fatti narrati con l’espressione, la scrittura con l’occhio e con l’orecchio, rifiutando qualunque modulo che mi apparisse parziale, astratto o intuitivo, cioè non completo e assolutoriscrivere, rifondare il periodo e ‘mirare’ il vocabolo finché non giudicavo d’avere raggiunto l’espressione completa, fino al momento in cui guadagnavo la certezza che il risultato ottenuto fosse quello giusto e definitivo, che la totalità lessicale, sintattica e semantica fosse realizzata, che, sulla pagina finita, la scrittura ‘parlasse’ ”. Che la scrittura fosse divenuta interamente voce, narrazione orale: come se una voce ci avesse raccontato per giorni, e giorni e notti una storia – fantastica, incredibile, grave e tenebrosa, ma una storia ‘vera’ (nella breve stagione della tanto attesa pubblicazione si disse: Omero, la Bibbia, Melville, Joyce…), perché ‘vera’, completa è la voce narrante, che proprio come sa fare un antico narratore, interpreta tutti i personaggi, traduce e ripete, ‘canta’ l’intera, tragica storia. E che cosa si può ancora leggere dopo che un narratore così ci ha incantato davanti all’abisso del mare per un tempo che ci pare infinito, perché ogni cosa è stata detta in ogni suo aspetto possibile ? D’Arrigo è veramente l’Orca che ha s-terminato la scrittura del Novecento. Così, è un paradosso che quest’opera intrinsecamente orale nessuno abbia provato a leggerla dal vivo, a darle una voce ‘reale’. E così, esortato anche da qualche amico, ho provato a inciderne qualche brano, essenzialmente perché è il siciliano la lingua darrighiana che fagogita ogni altra, che l’assorbe in un personalissimo sincretismo, come l’ “antropofagia” culturale del Brasile – e la mia lingua nativa è il siciliano.

Ciccina Circé è più di Circe-Calipso, è qualcosa di archetipico, sirena e maga, iper-Femmina (“femminota”): prostituta sacra, traghettatrice contrabbandiera, ammaliatrice di delfini (“le fere”) e annuciatrice di morte – che qui abbandona al suo destino il protagonista, quasi comicamente disperato di non aver capito che cosa ha vissuto con lei.

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