IL CIELO APERTO DEL CORPO – Fabia Ghenzovich
4 settembre 2011
ALL’ASCOLTO DEL CORPO PROFONDO
“Questo libro è corpo vivo – scrive Chiara De Luca presentandolo (Kolibris, Bologna 2011) – che di pagina in pagina si schiude, chiarisce e svela nella pace del foglio bianco, restando vibrante e vivo sul finale aperto dell’ ‘Io inverso’, del corpo in versi”. Ed è corpo vivo perché i suoi epigrammi (senza titolo) evocano flussi, anse e scarti di un movimento ‘curvilineo’ – quello di un neo-nato, o di un essere sul punto di nascere (come diceva Zambrano): “respirare con la pancia / farsi tutto fiato farsi pieni di vita /come fantolino neonato”. Il ‘metodo’ di Ghenzovich è ben definito, un cortocircuito di andata e ritorno – dalle più buie radici di sé al confine dell’universo, la pelle, e cioè il foglio bianco, dove il corpo in-segna e si ri-conosce senza zone di oscurità, in un dettato laconico e deciso: “Se moltiplichi cieli / e non ti neghi ma apri / parlando di quel poco / come questo gesto o il passo / l’erba sotto e il passero / che becchetta un respiro / più ampio d’ogni chiglia aguzza / del pensiero – più vivo adesso come / tutto quello che muove amore / e non muore”. Non è il corpo a parlare, ma un io attento in ascolto profondo – non banalmente delle emozioni femminili (come molta poesia contemporanea), ma di un originario e inafferrabile. In una costante ‘presenza mentale’ (dicono i buddhisti), lo scandaglio decostruisce “il sussulto d’ogni cellula / fino all’ultimo vivido strato”, rivelando “più di una fine un vedere diverso”, dove “tutto è come era ma più vicino”. Nella consapevole equivalenza fra micro- e macrocosmo (“minime galassie / indossare l’universo”) che dissolve ogni angoscia o dolore, nasce invece “il canto per la musica del corpo” che, come in Castaneda, “dimentica il nome / diviene albero e cielo”. Oltre “il corpo che mi abita” (direbbe Jaime Saenz), nel rischio estremo di sbocciare fino al cielo, il corpo scopre la sua natura generante, autoliberante, è lui a dare alla luce. Non ri-produzione, ma creazione: dall’ “esatto denso e fluido” emergono infatti parole, portate da voci immemorabili (“dal fondale un nome / la sua impronta – una voce / ponte tra me e te e confine / lasciala passare falla entrare – dentro”). L’esito più fortunato della quest è la scoperta che la poesia nasce dal corpo, dal suo “mare dentro”. Sono increspature della sua superficie anche le domande “se fosse possibilità invece perché peso / apparente concausa d’un niente”, e soprattutto “Cosa tocca la mano che tiene la penna / e la lascia cadere ?”. Dove si mostra l’intangibilità della ‘singolarità comune’ (Agamben), della nuda vita esposta al massimo pericolo. A questo livello di meditazione poetica non giovano le tentazioni ‘performative’ di Ghenzovich in alcune sue letture.
settembre 2011
5 commenti
leave one →
Ringrazio Nicola per aver colto di questo cielo aperto del corpo,l’ intima necessità e ricerca attraverso la parola, l’esperienza di sè come corpo vivente.
Che dire? Siamo ad altissimi ed elegantissimi livelli. E’ un disvelamento che semplifica e annuncia.
Del libro, del commento o di entrambi ?
Due recensioni per Fabia http://www.homolaicus.com/letteratura/poesie2/GHENZOVICH.htm
Un libro esperienziale che attraverso 31 stazioni segna le tappe di una conoscenza che passa attraverso le castanediane”ali della percezione”. Il corpo si fa strumento di questo viaggio ricordandoci che vivere è essere qui ed ora, nel momento. Microcosmo e macrocosmo s’incontrano nella poesia di Fabia : anche lo scontro in cui il campo di battaglia è il corpo stesso infine ci restituisce alla pace di un foglio bianco, di uno spazio aperto, d’un Io inverso.